Il gatto come ponte tra mondi: caso di un’esperienza terapeutica

“Il più piccolo dei piccoli felini, è già lui stesso un capolavoro”
(Leonardo Da Vinci)

La figura del gatto ha spesso suscitato fascino e curiosità nell’animo umano, fino ad arrivare a connessioni con la sacralità e con il divino. Pensiamo alla relazione che gli egizi avevano nei confronti di questo animale simbolico e reale. Pur essendo di frequente compagno delle nostre vite, sembrerebbe che il processo di domesticazione del gatto non sia del tutto completato e questo rende la relazione con lui ancora più unica e creativa.

Presso il Centro Armonico Terapeutico CAT, luogo in cui lavoro come psicologa psicoterapeuta e operatrice di pet therapy relazionale integrata, vivono diverse specie animali, tra cui 3 gatti. In particolare è Lulù, una dolce gattina nera, a desiderare spesso la vicinanza e il calore del contatto umano. Numerose volte capita che scelga le nostre poltrone per dormire la notte o i divenetti della sala d’aspetto per fare compagnia ai clienti. Non solo, spesso capita che scelga setting terapeutici in cui inserirsi e stare in relazione. In questa sede, voglio proprio raccontarvi di una storia di intesa, di incontro e di sorprendente sincronicità avvenuta durante incontri di Terapia Assistita con gli Animali (TAA).

Nel mio lavoro da terapeuta coinvolgo costantemente, sia in percorsi con bambini, sia in terapie con adolescenti, la mia cagnolina Sofia, compagna di vita e di lavoro, come co-terapeuta che assiste, facilita ed arricchisce ogni setting con dolcezza e vicinanza. E’ ancora non comune nella prassi analitica coinvolgere cani nella terapia, e ancor più raro è avere con sé presenze feline, per loro natura bisognose di libertà e tempi propri.

Ho conosciuto Elio (lo chiameremo così per questione di privacy) due anni fa, quando aveva 8 anni. Elio ha una sindrome autistica ad alto funzionamento, quindi il suo Essere nel mondo è connotato da estrema sensibilità sul fronte relazionale, affettivo e comunicativo.

L’invio è stato fatto da parte della neuropsichiatra infantile di riferimento, consapevole che presso il Centro CAT siamo specializzati anche in percorsi di Terapie Assistite con gli Animali. E’ ormai condiviso e consolidato nella teoria e nella nostra prassi terapeutica quotidiana, infatti, quanto la relazione con l’animale, inserita in percorsi terapeutici, sia mediatrice e abbia effetti sorprendenti soprattutto in percorsi con bambini e ragazzi con sindrome autistica.

In realtà, Elio non è approdato al CAT per la sua passione verso i cani, ma per l’esatto contrario: presentava una profonda fobia, che condizionava la sua vita quotidiana ogni volta che vedeva un cane sconosciuto o di amici. I genitori, percependo, ormai forti, il disagio e la sofferenza portate da questa ipersensibilità, si sono rivolti a noi per poter supportare e sostenere Elio in un percorso di conoscenza e avvicinamento nei confronti di questo animale.

L’esperienza di questi anni mi ha insegnato che non sempre dietro la fobia dei cani c’è un’effettiva paura, ma spesso una grande emozione da incanalare, comprendere e chiamare col proprio nome, che il più delle volte non coincide con paura, ma piuttosto con forte eccitazione.

Con Elio abbiamo quindi iniziato un percorso di conoscenza del cane e di contatto con le paure, lavorando con diverse metodologie integrate, quali il gioco simbolico, il disegno e la progressiva vicinanza relazionale vera e propria con il cane. In questo percorso di graduale conoscenza e desensibilizzazione rispetto alla co-terapeuta Sofia, è stata anche coltivata una profonda e importante relazione con me, terapeuta umana. E così si è cominciato ad arricchire uno spazio di gioco, relazione e conoscenza, che ha contribuito alla formazione di una buona alleanza terapeutica.

Il cammino insieme è poi proseguito, fino ad avere anche scenari inaspettati e arricchenti, quali l’arrivo, appunto, di Lulù in studio. Lulù ha, infatti, iniziato ad unirsi e partecipare volontariamente agli incontri con Elio, dopo circa un anno dall’inizio della terapia. Ha cominciato inserendosi con delicatezza e sensibilità, dapprima accogliendolo in parcheggio e sala d’aspetto e successivamente seguendoci anche dentro la stanza. Incredibilmente e quasi magicamente, ogni settimana, alla stessa ora quando arrivava Elio, arrivava anche lei. Durante gli incontri con Lulù, continuava ad essere presente anche Sofia, abituata alla convivenza cane-gatto.

Fu molto interessante per me osservare il diverso stile comunicativo e relazionale messo in atto da parte di Elio nei confronti di Lulù, con la quale c’era un feeling e una connessione speciale, unica. A volte sentivo che quasi stessero parlando lo stesso linguaggio. Con Lulù nel setting, il mio ruolo è cambiato completamente, uscendo maggiormente di scena e ponendomi in osservazione e ascolto dei loro giochi, messaggi e conversazioni. Sembrava che le modalità relazionali di Elio si connettessero e armonizzassero in piena sintonia con quelle feline, in un gioco di sguardi, attese e vicina distanza. Lulù non attivava in Elio quella forte emozione che faceva scattare invece Sofia, ancora da decifrare e comprendere, ma entrava in perfetta risonanza e sinergia. Sentivo in lui maggiore tranquillità, nessun segnale di stress e completa fiducia, inoltre era evidente il forte spirito d’iniziativa nel proporle giochi e momenti relazionali insieme. Lulù cercava intesa e contatto relazionale, non per forza fisico e in questo Elio si sentiva in perfetta sintonia. Conosceva benissimo quel suo linguaggio, fatto di attese, silenzi e miagolii, ritualità e distanze. Sapevano capirsi meglio di chiunque altro. E’ stata sicuramente un’esperienza clinica fondamentale per vedere in un unico setting la convivenza di linguaggi lontani e vicini: quello felino e quello canino, quello dell’autismo e quello neurotipico.

In questo articolo non c’è nessun desiderio di generalizzazione su altri casi, ma la necessità di condividere un’esperienza di integrazione e ricchezza terapeutica in un setting clinico, non scelta da me in quanto terapeuta, ma successa per imprevedibilità, con spontaneità e naturalezza. Io ho solo lasciato che accadesse, senza interferenze, senza controllo e senza possibilità di potere. Lulù mi insegnava proprio questo, ogni volta: “lascia che accada”. Ogni volta averla in setting era un dono, una sorpresa e non potevo avere la minima prevedibilità della cosa, se non sperarla. E come tutto è iniziato, ha avuto anche il suo giusto termine, o meglio, una nuova direzione. Infatti, a un certo punto del cammino, Lulù non è più venuta in setting. Abbiamo continuato a incrociarla nei corridoi, in altri spazi, ma lasciandoci di nuovo al percorso con la co-terapeuta Sofia.

Ci ha lasciato un grande dono relazionale ed esperienziale che continuiamo a ricordare col sorriso e che accogliamo come parte di un percorso insieme.

Silvia Castelli, psicologa psicoterapeuta, operatrice di pet therapy relazionale integrata, docente della scuola PTRI e socia della cooperativa Lune Nuove.

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *